L’ emergenza delle sfide del clima e della natura, si sa, da millenni aguzza l’ ingegno degli esseri viventi, li spinge a mutare per sopravvivere. Di solito si pensa che questa prerogativa, la capacità dell’ automutazione, sia esclusiva del mondo animale. Invece lo fanno anche le piante. Un gruppo di ricercatori israeliani ha scoperto, nel deserto del Negev, una pianta grassa che è diventata capace di costruirsi da sola il suo sistema di irrigazione, grazie alla struttura particolare e alla forma speciale delle foglie, che convogliano tutta la poca acqua piovana disponibile nel deserto verso la radice e sul terreno circostante. La pianta in questione si chiama Rheum palaestinum, in sostanza è un rabarbaro del deserto.
Come racconta il Frankfurter Algemeine Zeitung un team di ricercatori dell’ università di Haifa, in Israele, ha studiato la sua affascinante capacità di adattamento alla vita tra le sabbie del Negev. Il principale segreto del rabarbaro del deserto è come ha sviluppato la forma delle sue grandi, larghe foglie. Ognuna sembra un territorio montuoso visto dall’ alto, percorso da tante piccole valli. Quell’ intrico di solchi sulla superficie superiore delle foglie del rabarbaro del deserto non è casuale: i solchi sono disposti in modo da far convergere e cadere l’ acqua verso la base e la radice della pianta, ogni volta che cade qualche goccia.
Un Rheum palaestinum di medie dimensioni, grazie al sistema di canalizzazione dell’ acqua delle sue foglie, e al microambiente ombroso e umido che le foglie producono attorno e sopra la radice, riesce a irrigarsi da solo come se la quantità di pioggia annuale fosse di ben 426 millimetri di acqua l’ anno. La più grande delle piante prese in esame si era irrigata con ben 43 litri di acqua immagazzinata e convogliata così su se stessa in 365 giorni. Non è tutto. La capacità delle foglie di incanalare e far cadere l’ acqua piovana verso la sua base è tale che, anche quando piovono solo uno o due millimetri d’ acqua, il rabarbaro del deserto ne spinge verso la terra tanta fino a bagnare la terra su cui vive per una profondità di almeno dieci centimetri. Un prodigio d’ ingegneria, insomma. D’ora in poi pensiamoci due volte prima di voler denigrare qualcuno definendolo un “vegetale”.
Nessun commento:
Posta un commento