VERDE TIME

VERDE TIME

mercoledì 4 dicembre 2019

VERDE TIME : CONCIMAZIONE ROSE




Sia per le rose allevate in vaso sia per quelle coltivate in piena terra c’è la necessità di interventi di concimazione al fine di integrare la quantità di elementi nutritivi indispensabili per la crescita e il corretto sviluppo di queste piante; bisogna tener presente però che se durante la fase dell’impianto si avesse apportato una buona e giusta dose di stallatico, le rose non andrebbero concimate nel loro primo anno di vita. Durante l’arco di un anno la rosa va concimata due volte, una nel periodo primaverile e una in quello autunnale; il concime apportato alle piante in vaso dovrà essere diverso da quello usato per quelle coltivate in piena terra. Per le prime si utilizzerà un concime di tipo inorganico per entrambe le somministrazioni, mentre per le seconde dovrà essere di tipo chimico per l’apporto effettuato durante il periodo primaverile e chimico bilanciato misto a stallatico per quello autunnale. La pacciamatura, cioè la sistemazione di stallatico ai piedi della pianta e la successiva sua copertura con del terriccio, è un tipo di intervento protettivo a favore dell’apparato radicale durante la stagione fredda. Naturalmente il concime chimico deve contenere gli elementi nutritivi in modo bilanciato in quanto ognuno di loro contribuisce allo sviluppo di una determinata parte della pianta; dovremo quindi stare attenti anche alle giuste dosi di somministrazione per evitare di danneggiare o indebolire le nostre rose. L’azoto favorisce lo sviluppo di fogli e rami della pianta, ma un apporto eccessivo potrebbe inibire la resistenza a malattie e periodi siccitosi. Il fosforo invece aumenta il numero di fiori prodotti ed intensifica il loro profumo, somministrarne troppo può causare il mancato assorbimento di altri indispensabili elementi. Il potassio fa crescere più robusta e sana la pianta e dona ai fiori un colore più intenso. Il calcio stimola lo sviluppo della rosa, se dato in dosi esagerate impedisce l’assunzione del ferro. Il magnesio è molto utile per lo sviluppo di questa pianta. Spiegate le caratteristiche di questi elementi e gli eventuali danni provocati da un apporto eccessivo, vi daremo ora dei consigli sulla quantità di somministrazione. Per le rose allevate in vaso il giusto bilanciamento sarà composto da due parti di azoto, una di fosforo e una e mezza di potassio, mentre per quelli in piena terra ne basteranno cinquanta grammi ogni metro quadrato; nel caso di utilizzo di concime liquido, esso andrà prima sciolto nell’acqua d’irrigazione. La rosa, come le altre piante, oltre ad aver bisogno di azoto, fosforo e potassio (macroelementi), necessita anche di microelementi come boro, ferro, manganese, rame, zinco, molto utili per un corretto sviluppo delle foglie.



Il periodo adatto per la concimazione delle rose coltivate in vaso va dalla primavera fino alla fine di luglio; il concime più adatto è di tipo liquido e andrà somministrato ogni venti-trenta giorni mescolato all’acqua d’irrigazione. Due raccomandazioni molto utili che vi diamo sono quelle di bagnare bene il terreno prima di mettere il concime onde evitare di bruciare le radici e di diminuire sempre le dosi rispetto a quelle consigliate sulle confezioni. Dopo un certo numero di irrigazioni sarebbe opportuno aggiungere del terriccio adatto per le rose e di buona qualità, meglio se mescolato con del concime di origine animale composto da unghie e corna tritate, questo permetterà alla rosa di crescere in modo più sano e forte; mentre ogni circa tre anni sarebbe meglio sostituire il terriccio con della terra nuova.



Come abbiamo spiegato nei paragrafi precedenti, le rose, come le altre piante, per svilupparsi in modo sano e corretto hanno bisogno di integrare le sostanze nutritive attraverso la somministrazione di concime; vi abbiamo anche informato però sulle possibili conseguenze che può provocare un eccessivo apporto di questo fertilizzante. Di seguito invece, vi illustreremo i sintomi maggiormente diffusi causati da carenze di alcuni elementi nutritivi indispensabili per una crescita rigogliosa e armoniosa della pianta della rosa:
In caso di carenza di azoto i sintomi principali che la rosa manifesta sono un indebolimento dello sviluppo, foglie con colori giallo-rosso-verde di piccole dimensioni e fiori più piccoli del normale.
La carenza di fosforo invece provoca un rallentamento della crescita, colore verde scuro delle foglie, radici poco sviluppate e ridotta produzione di fiore.
Se invece noterete che la parte della punta e dei contorni delle foglie della rosa diventano scure, i boccioli e gli steli assumono un colore marrone, si indeboliscono fino ad arrivare alla morte, il problema sarà provocato da una carenza di potassio.
Anche la carenza di magnesio può essere molto dannosa, in questo caso le foglie assumono un colore più chiaro per poi, col passare del tempo, presentare parti morte con la conseguente caduta precoce. Anche il colore dei fiori risulta meno marcato.
Infine abbiamo la carenza di calcio che si manifesta con l’ingiallimento delle foglie e un rallentamento dello sviluppo della rosa.


martedì 3 dicembre 2019

VERDE TIME: COME EFFETTUARE CONCIMAZIONE



La concimazione è una pratica agricola che serve a modificare le caratteristiche chimiche di un terreno e a nutrire le piante per favorirne la crescita sana e rigogliosa. Assieme alla concimazione si possono praticare delle tecniche collaterali che modificano anche le proprietà fisiche del terreno e il suo grado di acidità. La modifica delle proprietà fisiche di un terreno, cioè umidità, secchezza, compattezza, viene chiamata fertilizzazione ammendante, mentre quella che modifica il grado di acidità del terreno si chiama fertilizzazione correttiva. Anche la concimazione rientra nel campo delle attività di fertilizzazione dei terreni, in quando “fertilizzare” significa anche nutrire e questo nutrimento avviene tramite l’uso di sostanze naturali o sintetiche chiamate fertilizzanti. I fertilizzanti contengono dei minerali indispensabili alla crescita delle piante, come azoto, fosforo, potassio e calcio e in misura minore, ferro, magnesio, zinco, ecc. Le piante si nutrono di queste sostanze assorbendole dal terreno. Sono le radici delle stesse, che dal suolo assorbono acqua e tutte le sostanze nutritive in esso contenute. Le suddette sostanze non sempre sono presenti nella giusta quantità, perché fenomeni naturali, come il dilavamento del terreno o la raccolta delle stesse piante, possono depauperare significativamente il patrimonio nutritivo essenziale alla sopravvivenza di queste ultime.In agricoltura e giardinaggio si possono praticare diversi tipi di concimazione, le cui tecniche e risultati variano in base ai fertilizzanti usati, in base alle specie coltivate e al terreno di coltivazione. La principale classificazione tra i metodi di concimazione si ha tra concimazione naturale e concimazione chimica o minerale. La concimazione naturale usa dei concimi , cioè dei fertilizzanti ricavati in natura, come il letame o stallatico che era, specie in passato, ed è, in assoluto, il concime naturale più usato. I concimi minerali o chimici sono ottenuti da composti di sintesi, cioè realizzati in laboratorio tramite miscele di diverse sostanze non naturali che consentono di avere la stessa o una maggiore quantità di minerali dei composti organici, come azoto, potassio e fosforo. I concimi chimici sono ormai usati su larga scala in agricoltura per via dei loro bassi costi di produzione e della facilità di trasporto, mentre i concimi organici si sono drasticamente ridotti a causa del trattamento industriale degli animali da allevamento. La soluzione del concime organico può essere praticata quando si tratta di concimare un orto o un giardino, anche se le scarse conoscenze agrarie possono far sì che la quantità di sostanza organica usata danneggi sia il terreno che le piante. I fertilizzanti chimici, invece, nelle confezioni di acquisto riportano le quantità di usare in base al tipo di terreno e di pianta da coltivare, limitando il rischio di errori. Per rispettare l’ambiente sarebbe ideale acquisire nozioni di agraria in modo da usare correttamente i concimi organici che certamente sono i più efficaci in assoluto.



La concimazione ideale, o la buona concimazione, deve tenere presenti due importanti caratteristiche: la qualità del terreno, le condizioni climatiche e le specie di piante coltivate. Si riesce a ottenere un buon risultato quando i fertilizzanti usati permettono sia di riequilibrare e migliorare le condizioni chimico fisiche del terreno che di nutrire correttamente la pianta. Pensare che un concime possa essere utile solo a uno dei due elementi coinvolti nella concimazione è un errore che spesso provoca conseguenze nefaste o risultati scadenti. In terreni poveri di calcio, ad esempio, si tende a concimare abbondantemente con fertilizzanti a base di sostanze in grado di ripristinare la quantità minima di calcio essenziale alla buona qualità del terreno, senza tener conto che alcune specie di piante non gradiscono affatto il calcio. Le piante che non gradiscono terreni calcarei sono, ad esempio, le azalee, i rododendri e le ericacee. Queste piante vengono chiamate acidofile o calcifughe, mentre le specie bisognose di calcio vengono dette calciofile, tra queste troviamo le leguminose. La concimazione ideale è anche quella che permette sia di migliorare la qualità del terreno che la crescita delle piante. La fertilizzazione deve infatti essere a effetto nutritivo e correttivo. Molti fertilizzanti consentono di ottenere contestualmente un effetto sia nutritivo che correttivo, è il caso dei concimi organici. Questo principio non si applica, però, alla concimazione di fondo.

sabato 30 novembre 2019

VERDE TIME PARASSITI DELLE PIANTE : COCCINIGLIA COTONOSA



Le piante hanno moltissimi nemici che possono attaccarle fino a distruggerle. Tra questi, anche funghi, virus, batteri e insetti parassiti. L’attività parassitaria degli insetti fitofagi consiste il più delle volte nella sottrazione della linfa vegetale, sostanza che spesso nutre sia gli esemplari adulti che le larve. Tra gli insetti fitofagi più temibili, anche la cocciniglia cotonosa, variante della nota e famigerata cocciniglia delle piante. L’insetto viene così definito perché gli esemplari adulti, specie le femmine, hanno il dorso ricoperto da una fitta peluria bianca, simile a fiocchi di cotone. La cocciniglia cotonosa non attacca tutte le specie vegetali, ma solo quelle legnose. La si ritrova frequentemente negli agrumi, dove si assiste alla devastazione di intere colture.

La cocciniglia cotonosa, entomologicamente conosciuta come Icerya purchasi, è un insetto appartenente all’ordine dei Rincoti e alla famiglia de Margarodidi. Originaria del continente australiano, la cocciniglia cotonosa è stata importata negli Stati Uniti, alla fine dell’Ottocento, e all’inizio del Novecento, in Europa. I primi esemplari comparvero in Italia, precisamente a Napoli, proprio agli inizi del Ventesimo secolo. Le coltivazioni preferite dell’insetto erano gli agrumi, tanto che con il passare dei decenni si diede al parassita anche il nome di cocciniglia degli agrumi. Da allora, gli attacchi della cocciniglia cotonosa sono stati regolari ed endemici, specie nelle zone a clima temperato. L’insetto si presenta con un corpo molto piccolo, non più grande di 5 millimetri. Le femmine, di forma ovale, sono ricoperte nel dorso da una patina bianchissima simile al cotone, mentre i maschi, talvolta alati e più rari delle femmine, hanno il corpo giallognolo. Nello stadio giovanile, la cocciniglia cotonosa è una piccolissima neanide di color arancio. Le femmine adulte sono ermafrodite, cioè si autofecondano portando in grembo un centinaio di uova, mentre i maschi, nati da uova non fecondate, non sono molto diffusi tra le popolazioni di questo insetto, perché totalmente inutili ai fini riproduttivi. Le femmine fecondano le uova durante i mesi invernali. La prima schiusa delle neanidi si ha in primavera, seguita da una seconda generazione in estate e da una terza, in autunno. In un anno la cocciniglia cotonosa può fecondare fino a trecento uova.



Come già detto, le piante maggiormente colpite dalla cocciniglia cotonosa sono quelle legnose, come gli agrumi, l’acacia, le ginestre, la robinia e il pittosporum. In genere, la cocciniglia predilige gli agrumi le ginestre e il pittosporum, mentre gli attacchi ad acacia e robinia sono più sporadici. L’insetto si annida nella pagina inferiore delle foglie, nei rami giovani e nei peduncoli dei frutti, da dove sottrae la linfa vegetale. Di questa sostanza si nutrono anche le neanidi. Ci si accorge dell’attacco di cocciniglia cotonosa quando la linfa fuoriesce dalle parti vegetali colpite o quando gli esemplari dell’insetto sono talmente numerosi da formare una sottile patina bianca sulle stesse. L’attività di nutrimento della cocciniglia cotonosa genera un’abbondante produzione di melassa, sostanza zuccherina secreta dall’insetto come escremento. La melassa si deposita sulle parti vegetali colpite favorendo la comparsa di una malattia fungina: la fumaggine, fitopatologia che porta alla necrosi della pianta. I fattori che favoriscono gli attacchi della cocciniglia cotonosa sono i climi umidi e temperati tipici delle zone mediterranee.



La lotta alla cocciniglia cotonosa si combatte essenzialmente con due metodi: chimici e biologici. La lotta migliore è senza dubbio quella biologica, perché non tossica e più rispettosa dell’ambiente. Per combattere la cocciniglia si usa un coccinellide, il Rodolia cardinalis, originario dell’Australia e utilizzato, agli inizi del Novecento, proprio a Napoli, durante le prime infezioni di cocciniglia cotonosa. L’insetto antagonista divora ingenti quantità di cocciniglia, debellandola definitivamente. Per contrastare l’azione del parassita, bastano appena quattro esemplari di Rodolia cardinalis, meglio se di sesso opposto. Questi esemplari si riprodurranno nutrendosi proprio della cocciniglia. Negli attacchi a grandi superfici coltivate si preferisce però ricorrere alla lotta chimica, normalmente combattuta tramite utilizzo di oli minerali bianchi o di piretroidi e fosforganici. In caso di attacchi di cocciniglia cotonosa in giardino è sempre consigliabile ricorrere ai metodi di lotta biologica. L’uso di metodi naturali sarebbe auspicabile anche nelle grandi superfici coltivate, per evitare fenomeni di tossicità ambientale. In realtà, gli oli bianchi, i piretroidi e i fosforganici, sono considerati gli insetticidi meno tossici tra quelli disponibili per la lotta alla cocciniglia. Gli oli bianchi sono gli oli minerali più leggeri, perché sottoposti a un processo di raffinazione. Il loro effetto, più che tossico, è lievemente irritante. I fosforganici sono insetticidi ad azione neurotossica, cioè paralizzano il sistema neurologico dell’insetto, i piretroidi sfruttano, invece, una sostanza repellente ricavata dai fiori, ovvero il piretro.

venerdì 29 novembre 2019

VERDE TIME PARASSITI DELLE PIANTE : AFIDI



Gli afidi, chiamati “pidocchi delle piante”, sono tra i parassiti più temuti del mondo vegetale. Si tratta di una specie di insetti appartenenti alla famiglia delle Aphidoidea e al genere Rhynchota. La loro pericolosità deriva dal fatto che le femmine di questi insetti hanno un’elevata capacità di riproduzione unita a un certo polimorfismo. Con questo termine si intende una differenziazione riproduttiva e morfologica che consente l’adattamento delle nuove generazioni anche a condizioni ambientali avverse. Gli afidi possono essere sia olifaghi che polifaghi, cioè possono nutrirsi di una sola specie o di più specie vegetali, ma non solo, possono anche attaccare solo specifiche parti della stessa pianta o parti diverse. Nel primo caso avremo il cosiddetto ciclo omotopo, mentre nel secondo, quello eterotopo.



Gli afidi hanno dimensioni di circa 4 millimetri , con corpo tozzo di colore verde, nero, giallo, rosa e testa e dorso più piccoli dell’addome. La loro principale caratteristica di polimorfismo è che possono essere sia con ali che senza ali. Gli individui privi di ali si chiamano atteri. Questi hanno il corpo ancora più piccolo e più tozzo di quelli alati. Quando sono presenti, le ali sono sottili, allungate e ricoperte da una lieve venatura a forma di rami. Gli afidi, in base alla specie polimorfa a cui appartengono, possono nutrirsi sia del parenchima della pianta che della linfa. La loro forma larvale e giovanile è rappresentata dalle neanidi che possono assumere caratteristiche genetiche diverse in base al modo in cui sono state generate. Il ciclo riproduttivo degli afidi può avvenire, infatti, sia per accoppiamento sessuale tra due individui di sesso opposto, che per via unisessuale, cioè solo ad opera delle femmine. La riproduzione unisessuale di alcune specie viventi viene detta “partenogenesi”. Gli afidi femmina, nati da un uovo fecondato, si chiamano fondatrici, sono senza ali e si riproducono attraverso la partenogenesi. Da questa possono nascere sia maschi che femmine, attere o alate. Queste ultime sono anche dette migranti perché permettono di propagare la popolazione di insetti su altre specie di piante ospiti, realizzando il ciclo riproduttivo eterotopo. Con la partenogenesi le femmine degli afidi possono generare anche più di 5 neanidi al giorno. Queste ultime, ancor prima di nascere, possono contenere altri embrioni in via di sviluppo. Le neanidi si sviluppano entro sette giorni ed iniziano immediatamente a nutrirsi della linfa vegetale.



Gli afidi colpiscono sia specie le legnose e arbustive che quelle erbacee. Le piante erbacee sono, però, degli ospiti secondari, perché le specie preferite dagli afidi sono proprio quelle arboree e con corteccia legnosa. Gli arbusti consentono agli afidi di resistere meglio alle basse temperature. Questi insetti si sviluppano, infatti, nei climi secchi e temperati. Purtroppo, i meccanismi di difesa e di riproduzione degli afidi stanno consentendo a questi insetti di adattarsi anche a condizioni climatiche avverse. Basta pensare che la riproduzione unisessuale avviene prevalentemente nei climi temperati, mentre quella sessuale o anfigonia permette di deporre uova particolarmente resistenti alle basse temperature. Le piante infestate dagli afidi sono la maggior parte di quelle agricole e la stragrande maggioranza, o meglio, la quasi totalità delle piante ornamentali da giardino e da appartamento, piante in vaso comprese. Da sottolineare che le infestazioni degli afidi sono accompagnate anche da quelle delle formiche, che proteggono gli afidi e ne favoriscono la riproduzione per via dell’ingente quantità di melata ( sostanza zuccherina) prodotta dai processi metabolici di questi insetti. Le parti della pianta che vengono attaccate dagli afidi sono la corteccia e le foglie. Il legno della corteccia funge da protezione per le uova fecondate, mentre le foglie possono essere colpite durante la migrazione degli insetti alati.



Gli afidi sono dotati di un apparato boccale succhiatore, pungente e inalatore che agisce in due modi: sottraendo linfa e sostanze nutritive alla pianta e inalando saliva all’interno del tessuto della pianta ( parenchima vegetale). Dopo aver iniettato la saliva, la pianta colpita subisce una sorta di infezione sistemica che la porta a ricevere anche dei virus contenuti nella stessa saliva dell’insetto. Questi virus non sono patogeni per l’afide, ma solo per la pianta. Anzi, l’insetto ha con i virus una specie di legame mutualistico e simbiotico poiché questi stimola la produzione di amminoacidi che favoriscono la moltiplicazione e la riproduzione degli afidi.

La sottrazione della linfa vegetale toglie energia alla pianta, che apparirà debole e appassita. La carenza linfatica impedisce alla stessa pianta di svolgere la fotosintesi, fattore che danneggia anche la colorazione delle foglie, facendole ingiallire, appassire e poi cadere, fino alla definitiva morte della specie vegetale colpita. La sottrazione della linfa rappresenta il principale danno diretto delle infestazioni degli afidi. Economicamente ed esteticamente gravi anche i danni indiretti degli afidi, ovvero quelli provocati dall’inalazione della saliva e dei virus all’interno del tessuto vegetale. I sintomi dei danni indiretti si manifestano con deformazioni, arrotolamenti fogliari e con la formazione di galle. Queste ultime sono dei veri e propri tumori vegetali provocati proprio dalle infestazioni di insetti e parassiti. Le sostanze tossiche assorbite dal tessuto vegetale creano una riproduzione eccessiva delle cellule della pianta, portando alla formazione di escrescenze che danneggiano la produttività e la qualità delle coltivazioni. Altri danni indiretti sono provocati dalla melata( la sostanza zuccherina secreta dagli afidi), che si deposita sulla superficie della pianta e causa ulteriori infestazioni ad opera di funghi, tra cui le fumaggini.Gli afidi sono degli insetti ormai diffusissimi su qualsiasi specie di pianta. La loro elevata capacità di infestazione è, in parte, provocata dai mutamenti climatici che hanno fatto registrare un costante e sistematico rialzo delle temperature nel corso degli anni. Gli afidi prediligono, infatti, i climi temperati e secchi e trovano la loro collocazione ideale nelle aree mediterranee e nel Sud Italia, dove si assiste a inverni miti ed a clima arido e tendente alla siccità. Gli afidi hanno anche imparato ad adattarsi a condizioni sfavorevoli, come gli inverni rigidi, in cui depositano uova fecondate sulla corteccia degli alberi e in cui prevale la riproduzione sessuata. Nei climi temperati le afidi infestano prevalentemente quelle specie vegetali che si sviluppano proprio con temperature miti, come il carciofo, le rose e le cucurbitacee. Nelle rose, ad esempio, la schiusa delle uova avviene in primavera, mentre nelle cucurbitacee ( melone, zucca, cetrioli, ecc.) l’attacco avviene nei primi giorni di luglio, ad opera delle femmine alate. Queste attaccano anche la pianta del cotone. Altri fattori che stimolano la riproduzione degli afidi, l’eccesso di sostanze nutritive azotate presenti nella linfa primaverile. L’azoto favorisce, infatti, la riproduzione asessuata delle femmine. Un’ulteriore condizione che aiuta lo sviluppo degli afidi, gli eccessivi trattamenti chimici, che causano la nascita di nuove generazioni di afidi sempre più resistenti ai principi attivi dei fitofarmaci impiegati.
La prevenzione degli attacchi dell’ afide non è sempre facile da realizzare. Tuttavia, specie per le piante dell’orto e del giardino, si possono usare alcuni accorgimenti utili a limitare la comparsa di questo fastidioso insetto. E’ risaputo che le formiche proteggono gli afidi e li trasportano da una pianta all’altra poiché si nutrono delle loro sostanze zuccherine, per cui, se in giardino compaiono le formiche, è probabile che prima o poi arrivino anche gli afidi. La strategia per evitare il conseguente attacco di questi parassiti consiste nell’eliminazione delle formiche, che si possono tenere lontane con antiparassitari naturali a base di ortica. Un’altra tattica preventiva contro le afidi è la pacciamatura, ossia coprire il terreno con un po’ di paglia o con un telo di plastica al fine di determinarne il surriscaldamento, che impedisce gli attacchi dei parassiti e la crescita delle erbe infestanti. Questa tecnica è da evitare se la temperatura è già elevata perché potrebbe far appassire le piante. Nei sistemi di coltivazione agraria, la modifica delle temperature e la riduzione delle sostanze nutritive alla pianta nel periodo estivo, possono dimezzare o azzerare le colonie di afidi.
Il controllo degli afidi avviene sia con la lotta biologica che con quella chimica. Quest’ultima non sempre si rivela efficace per via dell’elevata resistenza sviluppata dalle generazioni di afidi che man mano vengono messe al mondo. Gli antiparassitari chimici usati per gli afidi sono il Thiaclorid,
l’ Acetamiprid e il Thiamethoxam. Da alcuni studi sperimentali condotti dalle case produttrici di fitofarmaci e antiparassitari, sembra che solo il Thiaclorid si sia rivelato efficace per prevenire la ricomparsa di afidi nelle piante attaccate leggermente, mentre in quelle con infestazione grave, il prodotto è risultato efficace per l’85% degli afidi. Gli altri due antiparassitari non hanno avuto gli stessi risultati, combattendo solo il 60% degli afidi infestanti. Migliori risultati si riscontrano con la lotta biologica che si serve di predatori naturali degli afidi, come le coccinelle, la crisopa, larve di ditteri, neurotteri, imenotteri, varietà di cimici e alcune specie di uccelli, come rondini e capinere. Gli afidi si difendono dai predatori usando dei tubi chiamati sifoni che secernono una sostanza fluida in grado di paralizzare gli arti e la bocca del predatore. La lotta più efficace contro gli afidi è, dunque, quella integrata, usando in combinazione antiparassitari e predatori naturali. Gli antiparassitari devono contenere principi attivi selettivi, cioè specifici per le afidi, e non vanno mai usati in via preventiva, ma solo dopo la comparsa dell’infestazione.

mercoledì 27 novembre 2019

VERDE TIME PARASSITI DELLE PIANTE : COCCINIGLIA



La cocciniglia è un parassita che infesta molte piante. Questo insetto appartiene al genere dei Rincoti e annovera diverse specie. Infatti, in agricoltura e nel giardinaggio si contano tantissimi attacchi da parte di cocciniglie appartenenti a specie tra loro diversissime, ma tutte ugualmente pericolose. La cocciniglia può infestare piante ornamentali, piante grasse, alberi da frutto, piante da giardino e da appartamento. Alcune specie sono colorate di bianco, come la cocciniglia cotonosa, altre hanno un corpo di colore bruno o rossastro. Spesso, per le loro dimensioni ridottissime, non è facile riconoscerle ed è per questo che le infestazioni proseguono indisturbate fino a quando la pianta non ne manifesta i segni evidenti. Le cocciniglie infestano la struttura fogliare delle piante, succhiandole la linfa e producendo sostanze zuccherate ( melata). Queste sostanze possono attirare una gran quantità di formiche o alcuni funghi patogeni in grado di causare la fumaggine. La pianta colpita dalla cocciniglia muore spesso in conseguenza delle infezioni secondarie, mentre quelle primarie prodotte dal nutrimento dell’insetto creano prevalentemente dei danni estetici. L’aumento delle temperature sta facendo aumentare gli attacchi di questi insetti ed è per questo che molti coltivatori, ma anche semplici appassionati di giardinaggio, cercano dei rimedi validi e preferibilmente naturali per combatterli.




Sui rimedi in grado di eliminare definitivamente le popolazioni di cocciniglia sulle piante si fa un gran parlare. Molti cercano dei rimedi esclusivamente biologici e naturali, ma la lotta a questo insetto dipende in gran parte dalla specie che attacca le piante. Alcune varietà di cocciniglia rispondono bene ai trattamenti naturali, altre, invece, rispondono meglio a quelli chimici. In ogni caso, a incidere sull’esito dei trattamenti saranno la tempestività dell’intervento, la gravità dell’attacco, la varietà di pianta colpita e la specie di cocciniglia responsabile. In genere, i rimedi contro la cocciniglia si dividono in: preventivi, biologici e naturali.





Come già detto, la cocciniglia si diffonde negli ambienti caldi e secchi. La frequenza degli attacchi si ha in estate e una buona strategia preventiva per evitare la comparsa di questo insetto è l’irrigazione frequente e calibrata delle nostre piante. Basta pensare che le cocciniglie sulle piante da terrazzo e da balcone, durante giornate estive particolarmente piovose, muoiono senza necessità di alcun intervento. Erroneamente si crede anche che le piante da appartamento siano più protette dagli attacchi dell’insetto. In realtà non è così perché se l’ambiente è troppo caldo e secco favorirà in ogni caso la comparsa della cocciniglia. Per evitare il problema, si consiglia di mantenere l’ambiente nel giusto grado di umidità e di lavare regolarmente le piante da interno.
Un altro rimedio biologico alla lotta alla cocciniglia è l’olio di lino ottenuto dalla spremitura a freddo proprio dei semi di lino. Il principio attivo stimola le difese naturali della pianta senza lasciare residui.

Un rimedio naturale per eccellenza, contro la cocciniglia, è il sapone molle, sostanza che va spruzzata con acqua sulle parti colpite dall’insetto. Il sapone molle si è rivelato efficace contro la cocciniglia cotonosa e previene anche il deposito delle uova.

domenica 24 novembre 2019

VERDE TIME MALATTIE DELLE PIANTE: TICCHIOLATURA ROSE


La ticchiolatura è una malattia crittogamica, causata sulle piante ornamentali da funghi appartenenti al genere diplocarpon o marssonina e sulle piante da frutto da funghi appartenenti al genere venturia; si sviluppa soprattutto in presenza di un clima particolarmente umido ed in assenza (totale o parziale) di un adeguato riciclo d’aria; quindi gli attacchi da parte della ticchilatura avvengono particolarmente in autunno o durante primavere particolarmente fresche e piovose. Le specie vegetali più colpite sono le rosacee da frutto, in particolare il melo ed il pero e le rose; vengono colpite anche piante ad alto fusto, quali il pioppo e il salice. La malattia interessa particolarmente le foglie, ma spesso anche fusti e frutti.
Le foglie sono le prime parti della pianta ad essere colpite e dalle quali si può capire immediatamente il tipo di malattia. Più precisamente le foglie si ricoprono, in maniera graduale, di macchie scure, che all’inizio sono piccole ed isolate ma che poi diventano via via più fitte, fino a “ tappezzare” quasi totalmente la foglia. Attorno alle macchie, nere o porpora scuro, la foglia tende a scolorare al giallo.
La ticchiolatura, che interessa inizialmente la pagina superiore della foglia, si propaga velocemente anche alla pagina inferiore della stessa per poi passare ai rami più esili e giovani, poi a quelli portanti e contaminare infine il frutto.
Se l’attacco è particolarmente grave si può arrivare alla defoliazione prematura della pianta e la pianta si può indebolire a tal punto da ridurre il proprio sviluppo vegetativo e la fioritura.
Questo fungo si propaga rapidamente da una pianta all'altra, è quindi bene intervenire rapidamente non appena se ne vedono i sintomi; oltre ai prodotti a base di rame svolgono un'ottima azione curativa anche i prodotti a base di Mancozeb, Dithane e Propiconazole (sistemico).
Per evitare il permanere della malattia nei pressi della pianta è bene distruggere le foglie infette.
Volendo utilizzare prodotti biologici si consigliano i prodotti a base di equiseto.

Il fungo sopravvive all'inverno come spora, nelle foglie che cadono in terra. La cura migliore contro la ticchiolatura è la prevenzione, che si effettua prima di tutto con una adeguata potatura, atta a far ben circolare l'aria tra i rami e le fronde, ed anche con un'adeguata irrigazione e piantumazione, attuate in modo da evitare ristagni idrici nel terreno. Durante il periodo di riposo vegetativo una buona prevenzione si pratica anche attraverso trattamenti con poltiglia bordolese o altri prodotti a base rameica, che danno ottimi risultati anche in caso di sintomi già presenti.La ticchiolatura delle rose è una malattia delle piante causata dal fungo Diplocarpon rosae. È probabilmente, con l’oidio, l’affezione più diffusa su questo tipo di pianta e, una volta instauratasi nel giardino, diventa di difficile controllo se non si dedica tempo alla pulizia e alla buona e costante disinfezione.
È in generale la causa principale di defogliazione. Di per sé queste non sarebbero un grave problema. Se però si ripetono, anno dopo anno, possono causare una grave perdita di vitalità nel rosaio riducendo in particolare la capacità di fiorire. Inoltre questa debolezza apre le porte all’attacco di svariati insetti e l’esemplare diventa più sensibile sia al caldo sia al freddo dell’inverno.
Si sottolinea che il problema può avere un impatto davvero negativo in particolare quando si va verso l’autunno. Le più importanti defogliazioni avvengono alla fine della primavera perdurando durante l’estate. La mancanza di foglie debilita terribilmente la pianta che difficilmente riuscirà a produrre una importante seconda fioritura autunnale (principale vantaggio delle rose moderne sulle antiche).
Sintomi i cespugli infettati inizialmente sviluppano delle piccole macchie nere sulla pagina inferiore delle foglie, di solito in primavera avanzata. Alcune di queste macchie possono allargarsi e assumere margini seghettati raggiungendo anche un centimetro di diametro. In alcuni casi sono anche circondate da un alone giallo più o meno grande. Negli esemplari colpiti in maniera grave si vede un generale ingiallimento di tutte le foglie e in seguito una più o meno completa defogliazione.
Nei casi estremi il fungo può anche attaccare i rami che presenteranno delle macchie bruno-violacee soprattutto sulla crescita dell’annata.

Il ciclo della malattia prende avvio classicamente dalle foglie o dai rami infettati della stagione precedente. Le spore tendono a svernare sopra di esse e tornano facilmente sulla pianta a causa della poca pulizia e dell’abitudine utilizzare foglie o rami come pacciamatura. Vengono risvegliate dalle piogge, dall’umidità dell’aria o dalle abbondanti irrigazioni dall’alto.
Si sottolinea che le spore devono rimanere umide per diverse ore prima di tornare attive. I primi sintomi sono visibili più o meno 72 ore dopo il contagio, soprattutto con un clima caldo e umido. Le infezioni secondarie cominciano a svilupparsi entro dieci giorni dall’infezione primaria.
Questo fungo purtroppo tollera molto bene un ampio range di temperature. I sintomi possono continuare a svilupparsi durante tutte le stagioni, soprattutto se le temperature e l’umidità sono adeguate. Ciò purtroppo causa non pochi problemi soprattutto nelle regioni centro-meridionali dove alle volte le condizioni predisponenti sono presenti fino a tardo autunno e vi è un momento di riposo soltanto per tre o quattro settimane nel pieno dell’inverno.
Per bloccare un poco l’espansione della malattia sono di aiuto le estati calde. Infatti al di sopra dei 30° C (ma spesso ne sono sufficienti 27°) il fungo subisce un forte arresto nel suo sviluppo. Può essere una buona occasione per intervenire e ripulire con attenzione i nostri rosai.

Le strategie per la prevenzione di questa malattia possono essere molteplici e per ottenere buoni risultati è sicuramente bene cercare di abbinarne il più possibile.
Scelta delle piante Uno degli approcci che ha dato ottimi risultati è stato quello di scegliere e impiantare varietà che siano comprovatamente resistenti a questo fungo. In commercio si possono trovare innumerevoli cultivar molto belle che hanno superato prove durissime di resistenza a questa e ad altre affezioni (oidio, antracosi, ruggine, peronospora).
Vengono comunemente utilizzate per aiuole ed aree pubbliche e riescono a regalare bellezza e lunghe fioriture senza obbligare a continui trattamenti, costosi per la comunità e che rendono il cespuglio meno attrattivo. Sono disponibili ormai in molti portamenti e colori differenti. Possono pertanto accontentare le esigenze di tutti, specie delle persone che vogliono un giardino curato e gradevole in quasi ogni periodo dell’anno, ma che non diventi un impegno pressante.

Buone pratiche colturali In inverno

Per le varietà più suscettibili bisogna invece seguire un calendario preciso per prevenire la diffusione e minimizzare eventualmente l’impatto di questo fungo.
Il momento migliore per cominciare è l’autunno. Bisogna prima di tutto raccogliere tutte le foglie cadute (e anche quelle ancora presenti sui rami, se colpite). Queste non dovranno in nessun caso essere utilizzate per la produzione di compost. Dovranno invece essere portate ai centri comunali di riferimento per la raccolta del verde. Un approccio ancora migliore, se permesso dai regolamenti comunali della propria città, sarebbe quello di bruciarle. In questa maniera si è sicuri di eliminare buona parte delle spore svernanti.
Bisogna inoltre osservare che non vi siano rami compromessi. In quel caso vanno anch’essi rimossi ed eliminati nella stessa maniera.
Effettuata questa pulizia preliminare si possono attuare diverse strategie. Prima di tutto è importante vaporizzare sul terreno un buon prodotto eradicante. Può però anche essere sufficiente della portiglia bordolese o comunque un rameico.
Se l’affezione è stata grave possiamo anche spruzzare il composto su tutti i rami., specie dove vi sia della corteccia fessurata. Per un’azione ancora più in profondità possiamo aggiungere acqua alla poltiglia bordolese fino a quando non abbia raggiunto una consistenza cremosa e in seguito spennellarla sui rami. In questa maniera il prodotto penetrerà in profondità e vi rimarrà per più tempo.

Buone pratiche colturali durante il periodo vegetativo

Con l’arrivo della bella stagione bisognerà cercare di evitare che le foglie rimangano bagnate o umide per molto tempo. Naturalmente le piogge non si possono evitare. Dobbiamo però cercare di non annaffiare mai le nostre rose dall’alto, bagnando tutta la chioma. Evitiamo anche di irrigare troppo abbondantemente: questo causa gravi ristagni idrici che predispongono in maniera importante all’insorgere della malattia.
Dalla primavera all’autunno è bene attivarsi spruzzando le piante e la loro base con prodotti a base di rame almeno ogni 15 giorni. Il trattamento andrà ripetuto immediatamente dopo le precipitazioni, soprattutto nel caso si sia in un periodo con temperature che vadano dai 18° ai 25° C. Il momento migliore per effettuare le vaporizzazioni è la mattina: l’agrofarmaco asciugherà velocemente sulla foglia, ma la luce non sarà sufficientemente forte da causare dei danni.
I trattamenti vanno però interrotti durante i mesi più caldi dell’estate perché durante quel periodo difficilmente il fungo riesce ad essere attivo. Inoltre la presenza di rame o altri composti sulle foglie in concomitanza con forte luce e calore potrebbe causare dei danni, in particolare scottature.
Può capitare che, nonostante tutti i nostri sforzi, il problema si presenti ugualmente. In questo caso si dovrà intervenire nel più breve tempo possibile eliminando tutte le foglie (ed eventualmente i rami) compromessi. Anche in questo caso bisognerà assolutamente evitare di utilizzarli per la produzione di compost: andranno bruciati o portati alle aree ecologiche appositamente predisposte (o posti nella raccolta del verde).
In seguito si dovrà distribuire con la massima attenzione un prodotto curativo ed eradicante. Questi, rispetto ai prodotti di copertura come i rameici (che hanno soltanto scopo preventivo), sono capaci di uccidere il fungo e possono anche penetrare all’interno della foglie e della pianta agendo in profondità. È bene però non abusarne e impiegarli solo nel caso di affezioni già presenti per evitare l’insorgere di resistenze.
Alcuni buoni prodotti che si trovano comunemente in commercio sono a base di mancozeb, myclobutanil, penconazolo, zineb, ziram, ferbam, maneb, captano.

Ticchiolatura fungo: Alcune varietà di rose resistenti alla ticchiolatura

Paesaggistiche Knock-out, Double Knockout, Pink Knock Out, Pink Double Knock Out, , Sunny Knock Out, alba meidiland, robusta, sea foam, the fairy, La sevillana, Bonica, Candia Meidiland
Ibridi di tè e multiflora cayenne, Mr. Lincoln, Pascali, Tropicana, Queen Elizabeth, Line Renaud, Pretty Woman, Panthère rose, Acappella, Alexander, Caprice de Meilland, Honoré de Balzac, Nostalgie, Sebastian Kneipp.Pastella, Souvenir de Baden-Baden, Bengali,
Rugosa sono praticamente tutte immuni e di solito non necessitano di trattamenti per problemi fungini. Alcuni ibridi invece possono essere infettati.
Le rose di solito più affette da questa problematica sono le moderne, in particolare quelle con fiore di color giallo. La sensibilità infatti deriva dalla rosa Rosa foetida 'Persiana', entrata a far parte del patrimonio genetico di molte.

sabato 23 novembre 2019

VERDE TIME MALATTIE DELLE PIANTE : OIDIO DELLE ROSE



Le rose sono le piante da giardino con l’effetto ornamentale più sorprendente. Purtroppo, la loro bellezza non è sufficiente a proteggerle da malattie e infezioni. Molte di queste sono causate da funghi patogeni che si diffondono in determinate condizioni ambientali. Tra le patologie fungine più dannose, ricordiamo l’oidio o mal bianco, avversità in grado di colpire qualsiasi varietà di rosa, dalla più delicata alla più resistente. Nelle varietà meno suscettibili, l’oidio si combatte con specifici antifungini, mentre in quelle più delicate, i danni estetici possono essere molto gravi e non sempre risolvibili.L’oidio delle rose è causato da diverse specie di funghi patogeni, tra cui Oidium leucoconium e Podosphaera pannosa. L’oidio si trasmette tramite delle strutture chiamare conidi, che vengono trasportate dal vento. I conidi svernano sulle piante su cui si depositano o sul terreno dove sono caduti. In caso di cattive condizioni climatiche, muoiono entro un paio di giorni, mentre, in condizioni favorevoli, liberano le spore, dette ascospore, che causano la malattia. Le condizioni che favoriscono la diffusione dell’oidio sono l’elevato tasso di umidità ( 80%) e le temperature comprese tra venti e venticinque gradi.L’oidio delle rose presenta dei sintomi classici, ovvero una muffa biancastra che ricopre le parti colpite, specialmente le foglie, i fiori e i germogli in via di sviluppo. La muffa bianca, inizialmente, si presenta con delle macchie isolate, man mano che l’infezione avanza, le parti colpite si ricoprono interamente di questa patina biancastra. La muffa si forma dall’unione e dall’intrecciamento del micelio del fungo, organo deputato alla nutrizione e alla sopravvivenza dello stesso. L’oidio colpisce le parti esterne delle rose, da cui sottrae la linfa vegetale. Durante la malattia, le foglie si ingialliscono, si seccano e cadono, i boccioli tendono a non svilupparsi, mentre i fiori maturi appaiono macchiati e con una consistenza secca simile alla carta. I rami e i germogli giovani appaiono, invece, disseccati e ricoperti di muffa bianca. La prevenzione dell’oidio si effettua praticando delle potature che diano aria e luce alle parti vegetali delle rose. Per prevenire l’infezione, i resti dei tagli vanno immediatamente eliminati. Inoltre, è buona norma evitare i ristagni idrici e le eccessive concimazioni azotate. A scopo preventivo si possono usare anche prodotti a base di zolfo bagnabile, da somministrare dalla primavera all’autunno, periodo di comparsa della malattia. La lotta all’oidio si può effettuare sempre con i prodotti usati a scopo preventivo, iniziando un primo ciclo dopo una settimana, per eliminare le spore, e altri cicli ogni dieci giorni. La terapia contro l’oidio delle rose si può effettuare con altri prodotti sistemici, come i triazolici. Per evitare fenomeni di resistenza del fungo, è consigliabile alternare tra loro i vari fungicidi.

venerdì 22 novembre 2019

VERDE TIME MALATTIE DELLE PIANTE : OIDIO



L’oidio, detto anche mal bianco, è una malattia delle piante provocata da funghi appartenenti al genere degli Ascomiceti e alla famiglia delle Erysiphaceae. Il termine oidio nasce proprio dal nome scientifico anticamente attribuito a questa particolare famiglia di funghi, chiamata oidium oidium e precisamente Oidium tuckeri. Altro nome scientifico di questa specie patogena è Erysiphe necator. L’oidio si manifesta con una evidente patina di colore bianco che ricopre l’apparato fogliare della pianta, i germogli, i fiori e anche i frutti. E’ come se la pianta fosse ricoperta da una polvere simile alla farina. Questa condizione porta la pianta a bloccare la sua crescita e perdere prematuramente le foglie e i frutti. In base al periodo di maturazione della pianta si può assistere a un raggrinzimento delle parti colpite, specie se sono in via di sviluppo, fino alla necrosi del tessuto vegetale e alla definitiva moria di tutta la pianta. Riconoscere una pianta colpita da oidio non è difficile perché le foglie e i frutti in maturazione, che all’inizio della malattia vengono attaccati per primi, si presentano come se vi si fosse spruzzato sopra un po’ di polvere di borotalco. Man mano che l’infezione progredisce le macchie si allargano e si uniscono coprendo completamente la parte colpita come se fosse coperta da una sorta di vello.I funghi responsabili dell’oidio sono degli ascomiceti invisibili all’occhio umano, che producono delle ife o filamenti conici da cui si sviluppano delle spore, chiamate oidiospore. Sono proprio le spore trasportate dal vento, le responsabili dell’infezione a molte specie di piante da giardino. In passato si è cercato di studiare a lungo le modalità di propagazione dell’oidio che si fa attribuire a diverse specie di funghi del genere oidium. All’interno di questo genere si ritrovano sia funghi perfetti che imperfetti. La classificazione si riferisce alle loro modalità di riproduzione. Gli oidium perfetti si riproducono in modalità sessuata, mentre quelli imperfetti tramite riproduzione asessuata. Sia nell’una che nell’altra specie, le modalità di infezione e l’aspetto della malattia sono molto simili, così come simili sono le modalità di trattamento per debellarla e salvare la pianta colpita. La differenziazione tra oidium perfetti e imperfetti dipende dal tipo di piante che vengono attaccate. Alcuni funghi oidium attaccano specie diverse, altri ne prediligono soltanto una in particolare. Conoscere questo specifico comportamento degli oidium permette di tutelare meglio le proprie piante da giardino e di scegliere quelle meno sensibili agli attacchi di questi miceti.


Gli oidium attaccano piante come spinacio, bietola, radicchio, cicoria, indivia, orzo, frumento, carota, sedano, prezzemolo, finocchio, pisello, rabarbaro, grano saraceno, cardo, melo, nocciolo, quercia, vite, pesco, anguria, melone, zucche, zucchine e cetriolo. Le infezioni sono rare nel pero, nei peperoni, nella lattuga e in altri cereali. Per quanto riguarda altre piante, comprese anche quelle da giardino, le specie maggiormente suscettibili all’oidio sono il lillà, il lauceraso, la rosa, l’acero, il platano, l’alloro, la pervinca, il biancospino, l’ortensia, il crisantemo, la begonia, la zinnia, la dalia, la maonia, l’evonimo e la calendula.

L’oidio si sviluppa a seguito di particolari condizioni climatiche, specie in presenza di un alto tasso di umidità. I funghi o miceti, sono degli organismi che prosperano proprio in ambienti fortemente umidi. Anche negli edifici umidi si propagano le classiche muffe verdi. I miceti del genere oidium non attaccano però le piante da appartamento, ma solo quelle esterne, poiché le spore si propagano solo all’aperto e tramite l’azione del vento. Queste stesse spore si producono dal fungo che resta attaccato all’apparato fogliare della pianta anche quando queste cadono. Le foglie o altre parti infette della pianta rappresentano per gli oidium una fonte di sopravvivenza indispensabile nella stagione invernale. Gli oidium si nutrono infatti di materia organica originata dalla decomposizione di sostanze vegetali. Il rapporto parassitario tra il fungo e l’ospite viene definito “obbligato” perché senza il nutrimento delle piante infette, il fungo non potrebbe sopravvivere alle bsse temperature. Sopravvive bene, invece, a quelle alte ed ecco perché l’oidio può colpire le piante anche in condizioni di caldo secco. Le spore verranno rilasciate dal fungo all’inizio della primavera quando il vento le trasporterà su altre piante facendo propagare nuovamente l’infezione. Naturalmente la specie vegetale attaccata risentirà del principio della malattia indebolendosi e rallentando la sua attività di crescita e di fotosintesi. La crescita della pianta sarà tanto più lenta quanto più estesa sarà l’infezione. Il rallentamento della crescita è segnato dal raggrinzimento delle foglie o ad una deformazione della struttura complessiva della pianta. Il danno dell’oidio sarà, dunque, non solo ambientale ( per la minaccia alle coltivazioni), ma anche di natura estetica, specie se a venire colpite sono specie dall’alto valore decorativo.
In botanica, come in qualsiasi settore della vita coinvolto da problemi sanitari, vale la regola “prevenire è meglio che curare”. Prima che le piante vengano attaccate dal fungo che causa l’oidio o mal bianco è opportuno adottare alcuni utili accorgimenti. Intanto bisogna evitare che la pianta cresca in ambienti particolarmente umidi, è quindi preferibile scegliere posizioni particolarmente soleggiate e protette da sbalzi di temperatura e umidità. I trattamenti di prevenzione comprendono anche l’uso dello zolfo da spruzzare sulle foglie della pianta a primavera, prima della maturazione dei fiori. L’operazione va ripetuta ogni due, massimo tre settimane o per un massimo di 4, 5 volte l’anno. Lo zolfo non va usato quando le piante cominciano a fiorire perché ha un effetto tossico sulle api e su altri insetti utili. Le applicazioni vanno fatte preferibilmente al mattino. A scopo preventivo si usa lo zolfo ventilato. Si tratta di una miscela di zolfo ridotto in polvere, con effetto disidratante sul micelio del fungo oidium il quale muore prima ancora di infettare la pianta. La miscela di zolfo ventilato, in barattolo da mezzo chilo, va applicata la mattina presto o al tramonto, per depotenziarne la tossicità, con un dosaggio di 500 grammi ogni 100 metri quadri, per tre settimane. La sostanza resta attiva a temperature comprese tra i 12 e i 40 gradi. Da ricordare che questo tipo di zolfo è ormai proibito in agricoltura biologica e va usato solo per piante ornamentali o per coltivazioni non biologiche. Altra utile tecnica di prevenzione dell’oidio, scuotere le piante per eliminare accumuli di brina notturna. L’eliminazione della brina favorisce una veloce asciugatura della pianta che va preferibilmente collocata in zone ben areate, perché la scarsa ventilazione crea umidità favorendo la proliferazione del fungo.


Per combattere l’oidio si usano sostanze antifunghine sia di sintesi che naturali. Le sostanze naturali sono preferibili a quelle chimiche perché meno pericolose per la salute delle piante e degli insetti non nocivi che si nutrono delle sostanze prodotte dal mondo vegetale. Lo zolfo è utile sia come trattamento preventivo che come terapia, facendo attenzione a usarlo con gli accorgimenti che abbiamo indicato al paragrafo precedente. Per combattere efficacemente l’oidio conclamato con lo zolfo, si possono usare diverse tipologie di prodotto: zolfo polverizzato e zolfo bagnabile. Molto attivo è lo zolfo sublimato raffinato ottenuto macinando lo zolfo fino a ottenere particelle molto sottili. Questa sostanza è molto efficace se mescolata con il nerofumo. Efficace contro la malattia in piena diffusione è anche lo zolfo bagnabile che viene prodotto con varie formulazioni composte da polveri e miscele liquide a cui può essere aggiunto del rame o sostanze proteiche come il proteinato di zolfo. Lo zolfo bagnabile può essere anche composto solo da zolfo e sostanze acquose, questo prodotto è, però, poco persistente. Il più efficace è lo zolfo bagnabile detto “colloidale” cioè ridotto in microparticelle. Quest’ultimo composto è più tossico del precedente e per ridurne gli effetti dannosi conviene applicarlo in estate, nelle prime ore del mattino.

Sostanze chimiche contro l’oidio

I preparati fitosanitari per combattere l’oidio sono molto numerosi. Naturalmente bisogna scegliere quelli che permettono di combattere la malattia senza inquinare l’ambiente e le piante colpite. Con i preparati chimici non sempre è facile raggiungere questo compromesso. I preparati fitosanitari contro il mal bianco delle piante sono sempre composti da sostanze a effetto fungicida, con un’azione che disidrata completamente il micelio ( radice filamentosa) del fungo oidium impedendogli di produrre le spore e portandolo quindi alla morte. I prodotti antifunghini per piante, alternativi allo zolfo, sono a base di: , triadimefon, triforine, dinocap, bupirimate, dodemorf, ditalimfos, pyrazophos, procloraz, bitertanolo, fenarimol, , esaconazolo, penconazol e tetraconazolo. Tutte queste sostanze fanno parte dei componenti triazolici, cioè prodotti in grado di intervenire sulla produzione di ergosterolo, sostanza che permette la sopravvivenza del fungo. Il prodotto più efficace sembra sia stato il tetraconazolo, in una formulazione commerciale chiamata Domark 125. Si tratta di una emulsione diluita in acqua che protegge tutta la superficie della pianta impedendo la progressione della malattia. Su questo prodotto non si hanno notizie relative alla sua tossicità. Gli esperti consigliano di alternare tra loro l’uso dei triazolici, anche in base alla pianta da curare. In genere non si dovrebbero superare i tre, quattro trattamenti all’anno per evitare fenomeni di resistenza del fungo.

Funghi antagonisti dell’oidium

La cosiddetta “lotta biologica” alle malattie delle piante si può effettuare anche con sostanze totalmente naturali. La stessa regola vale per l’oidio, che può essere sconfitta tramite l’utilizzo di un fungo antagonista, cioè di un “parente” stretto del miceto oidium, il quale, invece di attaccare le piante, si nutre proprio del suo simile. Il fungo antagonista che elimina l’oidium si chiama Ampelomyces quisqualis. Questo miceto viene miscelato con olio minerale e si somministra preferibilmente in autunno, quando i resti dell’oidium cominciano la loro azione parassitaria sulla pianta.
Problemi con la cura delle tue piante? Non sai quali prodotti usare, in quali quantità e dove acquistarli? Spesso, presi dalla fretta o dal desiderio di risolvere il problema il prima possibile, acquistiamo prodotti che al posto di apportare beneficio alla pianta, le causano un ulteriore danno peggiorando la situazione. Per questo, se non siamo degli esperti di giardinaggio e dei profondi conoscitori di piante e fiori, è meglio rivolgersi a chi, della materia, se ne intende meglio di noi. I prodotti necessari alla cura delle tue piante possono essere facilmente reperibili presso vivai e serre della zona. A volte, anche nei supermercati più forniti puoi trovare prodotti convenienti ma allo stesso tempo efficaci! Se invece preferisci ottenere qualche suggerimento in più, meglio rivolgersi ai primi!